Tipografia Gamalero, Milano, 1921, 239 p.
Prefazione di Mario Mariani
La rivoluzione italiana non aveva un nome. Lo chiese al mondo degli esuli, al mondo di quelli che s’erano allontanati, per non piegarsi o per non soffrire. Quando ho ristretto la mano a Errico Malatesta, oltre le sbarre d’una gabbia di Corte d’Assisi, ho capito perchè quel vecchio era il più giovane di tutti noi e perchè la rivoluzione italiana, nell’ora in cui parevano maturare i destini, lo aveva richiamato dalle strade del mondo.
Egli dominava tutto e tutti.
Il suo processo se lo è fatto da se.
Ha voluto farsi assolvere e si è fatto assolvere.
Non per sè. Per la sua parte. Per la rivoluzione.
Egli ha sentito con una divina intuizione da apostolo che, nell’ora della più feroce reazione e delle più ignobili transazioni, aveva il dovere di restituirsi alla libertà per vegliare sulle covanti indignazioni e per organare e incanalare forse la suprema riscossa del proletariato italiano. La politica italiana è soltanto compra-vendita di coscienze o girandola di sillogismi fatta per mascherare tenebre d’ignoranza.
Errico Malatesta, si è temprata la coscienza in quarant’anni di lotte e di sacrifici, si è creata una cultura in più che altrettanti di studio cocciuto.
La sua, parola detta o scritta è semplice come l’acqua sorgiva che scaturisce dopo essersi purificata nelle profondità della terra, diritta come il fusto che vien su bene perchè ha messo fonde le radici. E chiunque abbia gettato via ogni relitto del passato per andare innanzi senza voltarsi mai indietro si sofferma ad ascoltarlo come s’ascolta il profeta che clama il verbo della fede. Io, forse perchè sono nell’anima come egli mi ha detto sovente, più vecchio di lui, io non ho purtroppo la sua fede.
Io penso che il popolo che ha subito il bastone e il revolver fascista senza sollevarsi tutto da un capo all’altro della penisola e travolgere in un solo ululato di rabbia Governo e borghesia, sia degno ancora del duca di Modena e di Mussolini, ma sia le mille miglia lontano dalla capacità di governarsi da solo, fuor d’ogni autorità e d’ogni legge come l’ideale anarchico esige.
La nostra statolatria è fatta di scetticismo… La, sua anarchia di speranza. Per questo egli è, oltre che più giovane di noi, anche più buono di noi. E il popolo dei ribelli è con lui. .. E sembra che demoliscano, ma s’ingegnano a edificare. Perchè i Gesù Cristi delle barricate sonò i muratori dell’avvenire. E’ passato sull’Italia un anno di vergogna. Un istante d’esitazione ha strozzato, forse, un decennio di storia.
La rivoluzione rimase chiusa nelle fabbriche occupate per la vigliaccheria dei capi, vigliaccheria di capi e di gregari ha lasciato passare, sterminatrice, l’ondata reazionaria del fascismo. E sulle casse mal inchiodate degli operai assassinati il socialismo ufficiale ha scritto, suprema ignominia, il patto di pacificazione. Nella buvette di Montecitorio, sei o sette deputati che temevano « la rappresaglia » — fascisti che viaggiano in aeroplano e socialisti che vivono tappati in casa — hanno sperato di comprare, barattando i morti, un biglietto di libera circolazione. Invano.
E’ passato sull’Italia un anno di vergogna. Si è strozzato un decennio di storia.
Ma. questo non conta.
Chi spera che il popolo dimentichi lo spera invano.
Era bene che il popolo vedesse chiaro.
Era bene che capisse che cosa significa dominio di classe; luminosamente.
Oggi l’operaio lo sa.
Sa che regime borghese non significa soltanto ingiustizia, immoralità, sfruttamento, ma significa anche assassinio.
Oggi l’operaio sa che il borghese può scannarlo impunemente con la complicità del governo come il padrone d’un tempo poteva impunemente scannare lo schiavo.
Glielo ha dimostrato il fascismo.
Sa ed aspetta la sua ora.
Per questo.l’onore d’Italia è ormai affidato alle vindici mani degli arditi del popolo. E la rivoluzione che si può forse, con il piombo, ritardare, ma non scongiurare, riprenderà la sua marcia devastatrice e ricostruttrice. E questa rivoluzione ha un nome : Errico Malatesta.
Agosto 1921
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