Bakunin Michele, “Lettera ai compagni d’Italia”

Edito da “L’Impulso” Edizioni, Livorno, 1955, 28 p.

PREFAZIONE
Apriamo la collana di queste nostre edizioni con uno scritto di Bakunin, con la lettera da questi indirizzata all’internazionalista Celso Ceretti di Mirandola, nel marzo del 1872, all’indomani della morte di Giuseppe Mazzini.
Era nelle consuetudini di Bakunin scrivere ai propri amici lunghe epistole politiche, le quali, anche se redatte in un tono confidenziale, erano destinate a circolare in gruppi di amici, a svolgere fra essi una importante funzione formativa. Bakunin non scrisse gran che per la pubblicazione in Italia. Qualche articolo nel primo periodo, qualche nota d’occasione e nulla più. Tutta la sua influenza in Italia è collegata ad una minuta ed intensa attività epistolare, svolta su un piano di relazioni umane, di rapporti personali: di questa attività la lettera che qui pubblichiamo è la testimonianza più viva e più ricca. E le abbiamo giustificatamente dato il titolo di Lettera ai compagni d’Italia perchè essa, anche se indirizzata a Celso Ceretti, è destinata a tutti gli internazionalisti italiani (Bakunin usa quasi sempre la seconda persona plurale) e soprattutto perchè essa costituisce un documento programmatico generale, un compendio di teoria e tattica rivoluzionaria scritto da Bakunin per i militanti italiani.
La lettera, pubblicata qui ed ora per la prima volta in italiano, ha una sua storia: fu scoperta, sulla fine del secolo scorso, da Jacques Mesnil presso l’ancora vivente Celso Ceretti, e dallo stesso pubblicata, nell’originale francese sulla rivista belga La Société Nouvelle (N. CXXXIV – fèvrier 1896, pp. 175-199). Nettlau la vide successivamente e la utilizzò largamente per i suoi studi bakuniniani (fra l’altro in Bakunin e l’Internazionale in Italia dal 1864 al 1872 Ginevra, Edizione del Risveglio, 1928). Recentemente la lettera è stata ripubblicata, sempre nell’originale francese, da A. Romano in appendice al 2° volume della Storia del movimento socialista in Italia (Bocca Milano, 1954, pagine 372-392). Il documento (che è visibile fra le carte Ceretti, presso gli eredi, in Mirandola) non venne invece inserito nè nella raccolta delle Oeuvres edita da Stock al principio del secolo, nè nella collana di scritti bakuniniani avviata da Luigi Fabbri presso la casa editrice Tempi Nuovi di Milano nel primo dopoguerra, nè nella antologia curata alcuni anni fa da Carlo Doglio (M. Bakunin, Libertà e rivoluzione Milano, IEI, 1948).
Poichè la decadenza del movimento anarchico italiano dopo il 1880 è da imputare, fra l’altro, anche al fatto che di Bakunin non sia rimasta dopo la sua morte che una leggenda, mentre i suoi scritti più impegnativi giacevano ignorati negli archivi o comunque raccolti in edizioni straniere, non facilmente accessibili alla massa dei lettori proletari (poverissima è la bibliografia bakuniniana in Italia, se si eccettua il fin troppo noto Dio e lo Stato), osiamo affermare che la conoscenza e la divulgazione di questo documento nei circoli anarchici e negli ambienti operai avrebbe decisamente mutato il corso storico del nostro movimento ed in conseguenza del movimento operaio del nostro paese, avrebbe dissipato equivoci, evitato involuzioni pericolose, riportato fecondità d’idee e ordine di concetti là dove era la sterilità e la confusione.
Quel che impressiona nella lettura di queste pagine è la loro straordinaria freschezza ed aderenza alla situazione reale del nostro paese. Bakunin non ci fa un astratto discorso sull’autorità e la libertà, sul comando e l’obbedienza, sull’anarchia come società perfetta, tutti argomenti in cui sono particolarmente versati i chiacchieroni dell’individualismo, ma ci dà anzitutto una precisa topografia politica del nostro paese, con i suoi partiti, con le sue classi sociali, con i suoi gruppi dirigenti, con le forze storiche che operano al suo interno. Sorprendente è la conoscenza che Bakunin possiede della situazione italiana, mirabile l’analisi chiara e coerente che egli traccia di tutti i problemi di sviluppo della società italiana, alla luce dei principi del socialismo. Si può dire che questa lettera è la prima interpretazione socialista del processo di sviluppo della società italiana ed è la prima impostazione socialista, oltrechè libertaria, dei problemi della rivoluzione in Italia. Bakunin non chiama in scena dei fantasmi ma fa i suoi conti con i nomi più rappresentativi dell’Italia unita, con gli esponenti della « destra storica » come Bonghi e Correnti e Lanza e Visconti-Venosta, con gli esponenti della « sinistra giovane» come Crispi e Nicotera, con i repubblicani Campanella, Saffi, Bertani, con i federalisti Mazzoni e Mario.
Critica della teologia mazziniana, esposizione della dottrina socialista, sua applicazione alle condizioni concrete dell’Italia, scoperta del rapporto città-campagna e formulazione del principio della alleanza fra operai e contadini, riferimento al problema dei piccoli proprietari e dei ceti medi in funzione del movimento rivoluzionario, principi di organizzazione e particolarmente dell’organizzazione di massa in rapporto alla organizzazione specifica e dell’organizzazione illegale in rapporto a quella legale, principi di tattica e particolarmente della tattica dei grandi movimenti popolari contrapposta alla tattica delle insurrezioni sporadiche e delle congiure, considerazioni sulle alleanze fra il partito del proletariato e le frazioni radicali della borghesia, critica dallo stato unitario italiano e accentuazione federalista della rivoluzione sociale, gradualismo e realismo nella soluzione dei problemi della trasformazione economica, etc.: ecco i temi vibranti di attualità (anche oggi, anche domani) che il fervido ingegno di Bakunin affronta in questa lettera, scritta, badiamo bene alle date, venti anni prima della fondazione del Partito Socialista, cinquant’anni prima della fondazione del Partito Comunista.
Vengano pure avanti ora i denigratori e i falsificatori del Bakunin a raccontarci le loro frottole, sulla pandistruzione, sulle utopie, sulle barricate, in cui si risolverebbe, secondo loro, il bakuninismo. Avremo sufficiente materiale a disposizione per metterli alla gogna.
Già uno di loro, forse il più violento, il più ingiusto, il più arrabbiato di astio poliziesco e di bile reazionaria, lo storico Aldo Romano, davanti a questo documento ha dovuto ammettere a denti stretti che questa lettera, « vivace, fluida, rapida», contiene una «formulazione limpida», « un corpo di dottrina ben definito »; deve darci atto che essa è « non priva di finezza psicologica », etc. (cfr. op. cit. pp 268-9).

Nel darla alle stampe noi pensiamo di pubblicare alcune fra le più belle pagine della letteratura anarchica e rivoluzionaria internazionale.
Nel testo abbiamo stampato in neretto le parti sottolineate dall’autore e le parti in italiano nell’originale. Abbiamo posto fra parentesi tonda eventuali interpolazioni atte a rendere intelligibile il testo e le annotazioni redazionali.

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