(a cura di) Calusca City Lights e RadioCane, “Riot! George Floyd Rebellion 2020. Fatti, testimonianze, riflessioni”

Edito da Edizioni Colibrì, Milano, Maggio 2021, 257 p.

Il tempo di ora è il tempo della(e) rivolta(e). In quell’ora che è sempre. In America come altrove. La sollevazione che ha attraversato gli Stati Uniti dopo l’assassinio di George Floyd s’inserisce infatti in un’ampia costellazione di insorgenze, sollevazioni, uprisings (o come altro si voglia dire), la cui materiale e pregnante presenza nelle strade rischia di sfumare nella volatile attenzione dell’infosfera elettronica. Di qui una delle ragioni di questo libro: cercare di fissare, ancorché in maniera limitata e parziale, alcuni elementi di quanto accaduto non per dirne la verità oggettiva, ma per tentare di coglierne alcuni tratti qualitativi.
A ben vedere, come appare chiaramente dalla filigrana della cronologia, la sollevazione è già di per sé una costellazione, una molteplicità di atti, eventi e gesti singolari tra i quali si stabiliscono connessioni, convergenze e divaricazioni. Nella rabbia per l’«esecuzione extragiudiziale» di Minneapolis echeggia quella per la morte di Breonna Taylor (uccisa a Louisville, Kentucky, il 13 marzo) o di Rayshard Brooks (crivellato di colpi ad Atlanta, Georgia, il 12 giugno). Lo scontro con la polizia, che a Portland dura cento giorni consecutivi, si riconfigura nelle numerose manifestazioni pacifiche che, rifiutando di rispettare il coprifuoco proclamato in molte città, sfidano a loro modo i lacrimogeni e le pallottole di gomma degli sbirri. La ridefinizione degli spazi urbani prodotta dalle barricate e dagli incendi si riprospetta nella creazione di una « a Seattle o nello «Sheraton» di Minneapolis (un hotel Sheraton convertito in squat), e si affratella con le pratiche del saccheggio e dell’esproprio. A sua volta l’esproprio della merce, oltre a rispondere a determinati bisogni materiali, allude alla libera condivisione di quanto serve per vivere. E così via.
La consistenza di quanto accaduto si dà esattamente in queste connessioni, e nel loro embricarsi s’innescano processi di trasformazione delle vite individuali e collettive, in cui saltano in aria identità, binarietà e altri regimi della separazione sociale. Anzitutto le identità tracciate dalla linea del colore. Tutte le testimonianze narrano del carattere multiforme e multigenere dei partecipanti agli scontri, alle manifestazioni, ai saccheggi. Non già una rivolta razziale, ma il superamento della questione razziale nella rivolta.
E se c’è una centralità della questione razziale in quanto sta accadendo, stante la centralità di tale questione nella storia statunitense, essa manifesta la centralità della rivolta in questa storia.
Vedi alla voce “Rivolta”… Il presente libro quindi non è che una voce d’un’enciclopedia del presente ancora da scrivere. Quanto meno perché ogni rivolta, ogni sommossa, ogni insurrezione lascia apparire una panoplia di pratiche, tanto di difesa che di attacco, suscettibile di trasmettersi a distanza nello spazio e nel tempo.
La crescita della conflittualità che da almeno tre lustri si registra ai quattro angoli del Pianeta è espressione d’un’ingovernabilità diffusa la quale non solo si manifesta in un’ampia e generosa disponibilità a scontrarsi con il braccio armato del governo delle vite, la polizia, ma risulta anche di difficile presa per le forze del recupero. La distruzione, l’incendio, i danneggiamenti, le statue abbattute sono forme di affermazione nella misura in cui negano ciò che colpiscono. Senza mediazione, senza sintesi possibile. «No cops. No Tribunals. Total abolition scandiscono i rivoltosi di Portland. C’è composizione, non ricomposizione. Di qui l’insanabile distanza, per esempio, rispetto ai sostenitori di quel Biden il quale invita la polizia a mirare alle gambe invece che a organi vitali.
Malgrado il riproporsi dello slogan «No justice, no peace», che sottintende la richiesta d’una «giustizia giusta», l’insistenza sul taglio dei fondi per la polizia dice qualcosa di ben diverso. Tradurre in questo modo lo scontro con gli sbirri, a ben vedere, può significare solo due cose: o si tratta di un mero diversivo per calmare gli animi, oppure si tratta di un altro modo per nominare lo smantellamento della polizia, ovvero di avanzare un’istanza di per se stessa irricevibile dal governo e dall’insieme dell’ordinamento statuale. Certo, le funzioni di polizia non sono più svolte esclusivamente dalle forze dell’ordine, alla profilazione «razziale» operata dallo sbirro si va sovrapponendo la profilazione informatica dell’«algoritmo, ma ciò non toglie che il ruolo dei poliziotti nelle strade rimanga centrale per il mantenimento dell’odierno stato delle cose.
Infine, se è vero che l’evento parla da sé, la decisione di come nominarlo, lungi dal costituire un problema meramente terminologico, partecipa della dinamica del senso in cui s’iscrive l’evento stesso. La riapparizione di un discorso esplicitamente rivoluzionario, riscontrabile in alcune delle pagine che seguono, non costituisce un’aggiunta ex post, ma esprime una traiettoria possibile che sta nella dinamica delle cose stesse. Non quindi un programma, né un progetto, ma appunto una traiettoria, un senso possibile, un’epifania.

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