Briguglio Letterio, “Il partito operaio italiano e gli anarchici”

Edito da Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1969, 314 p.

Introduzione

«Il movimento operaio si chiarisce solo dal di dentro. Il mistero della sua storia può essere messo in luce solo in virtù degli artefici di questa epopea (.. .). Utilizzare le testimonianze dei militanti, ravvivarne i volti scoloriti, farne riudire le voci, non è forse questo il mezzo più sicuro per restituire alla storia operaia il suo significato? ». Con queste considerazioni Edouard Dolléans inizia il suo secondo volume della Storia del movimento operaio intesa come storia del movimento sindacale.

Ora, proprio per chiarire l’operaismo e l’anarchismo dal di dentro e per restituire alla storia operaia alcuni particolari significati, abbiamo conferito ai capitoli di questo volume l’esclusivo carattere di studi e di ricerche. Non è quindi la nostra una storia delle idee socialiste separata dalle drammatiche vicende del movimento operaio, ma un insieme di indagini concrete che si sforzano di riconoscere a quelle vicende il valore di autentiche occasioni per una ricostruzione sempre più consapevole della dinamica sociale. L’autosufficienza e le istanze sistematiche banno preteso fin troppo per legittimarsi storiograficamente. N’è venuta fuori una metodologia intellettualistica ed astratta che ha fatto procedere il divenire storico del movimento operaio a passaggi obbligati. Siamo così ancora oggi di fronte a una specie di fenomenologia lineare che non ammette integrazioni di natura dialettica, né parallelismi più o meno transitori e che ripete le sue origini dal pensiero politico e sociale di Filippo Turati.
Il Turati infatti, nel criticare il « sereno eclettismo » (così lo chiamava) di Osvaldo Gnocchi Viani, poneva il movimento operaio alla base di un processo fenomenologico che partiva dalle manifestazioni più inavvertite ed inconscie per giungere « alla cuspide » e cioè alle forme di pensiero consapevoli ed organiche rappresentate esclusivamente dal « socialismo scientifico »?. Anche la storiografia contemporanea, quella autosufficiente e sistematica, recepisce interamente questo schema interpretativo e perciò ammette un rigoroso evoluzionismo gerarchico che, partendo dall’indistinto e dell’inconscio (anarchismo), giunge al distinto ed «i conscio (operaismo), per riposare definitivamente nella pienezza dell’autocoscienza (il socialismo scientifico, cioè la « cuspide »). Dopo di che la problematicità e la dialettica naturalmente si volatilizzano ed ogni ricerca sul movimento operaio finisce col rivestire un valore essenzialmente erudito. Ma la storia, osserva ancora il Dolléans, « non è un erbario i cui fori scoloriti diventano polvere. È una foresta, interrotta da selve e da radure, una foresta che con la sua ombra ora protegge, ora soffoca i nuovi virgulti ». Da qui la necessità di stadi e di ricerche sempre nuovi come base di un atteggiamento critico volto a confermare, a perfezionare v anche a capovolgere giudizi vecchi e nuovi, Dalla storie del movimento operaio attraverso i suoi congressi, bisognerà giungere al confronto di questa storia con la realtà quotidiana delle lotte sociali; dai profili storici, spesso con contorni troppo definiti, di gruppi o di partiti, bisognerà puntare a ricostruzioni critiche che tengano conto di quel fenomeno di osmosi sociale che persino l’anarchico Mingozzi riteneva del tutto inevitabile. Ecco cosa intendiamo per ripensamenti, per occasioni e per integrazioni in sede storiografica.
Solo così l’operaismo non sarà più passibile di disinteresse e di interpretazioni ausiliarie o di comodo. E solo così l’anarchismo riuscirà a sottrarsi alle continue decapitazioni in sede storiografica, mentre, più o meno esplicitamente, continua a vivere, carica di esperienze, di delusioni e di dolori nella coscienza del mondo contemporaneo.
Gli argomenti contenuti in questo volume riguardano l’individuazione dei vari gruppi anarchici, il loro orientamento ideologico e la loro attività nel campo cooperativistico durante il delicato trapasso dalla tradizione bakuninista o collettivista ai nuovi orientamenti anarco-comunisti. Per quanto si riferisce agli operaisti, le nostre ricerche dovrebbero condurre ad un ripensamento della qualifica di «corporativismo », pronunciata a suo tempo dagli anarchici e ripetuta oggi con molta insistenza dagli storici del movimento operaio, Non sembra infatti per nulla calzante la qualifica di corporativismo o di « operaiocrazia » a proposito di un partito cui premeva nell’identica misura l’emancipazione dei lavoratori delle città e quella dei lavoratori delle campagne. Altro scopo delle nostre indagini è stato quello dì fare conoscere da vicino il pensiero e l’opera di Alfredo Casati, quasi ignorato dalla odierna storiografa, e soprattutto di ravvivare il volto scolorito di Osvaldo Gnocchi Viani, le cui precisazioni sulla differenza fra partiti politici e partiti sociali, fra vita politica e vita pubblica? avrebbero dovuto servire a non confondere lo sperimentalismo operaistico con una specie di riformismo più o meno potenziale. Aveva il Partito operaio un programma finalisticamente socialista? C’è chi ritiene di no, essendosi limitato a rivendicare « quell’emancipazione della classe lavoratrice ad opera dei lavoratori medesimi, che era stata la bandiera della Prima Internazionale al movimento della sua fondazione ». Il programma del Partito operaio, sperimentalista nei mezzi, ma intransigente nel fine, si prestava molto poco a divagazioni di natura teleologica. « Lo scopo del Partito Operaio Italiano — si legge ne Il Fascio operaio in polemica con gli anarchici — non è quello di vedere come deve compiersi l’emancipazione dei lavoratori, ma di prepararla ed affrontarla colle organizzazioni delle forze oppresse, colla continua conquista del miglioramento e del benessere morale e materiale, coll’assicurarsi la vittoria contro il capitalismo (…) la missione del Partito Operaio è essenzialmente economica e intellettuale, di propagande e di organizzazione emancipatrice della classe che rappresenta (.. .) lasciandola nella vita pubblica con propria bandiera e proprio carattere ». Sembrerebbe una forma di miopia questa rinuncia a vedere come si dovrà compiere l’emancipazione dei lavoratori, e invece era frutto di una coerente autolimitazione che rifiutava responsabilmente qualsiasi dottrinarismo «teorico e indefinito v, di un’esigenza concreta secondo cui « la miglior scuola e la miglior dottrina (consistevano) nella lotta di tutti i giorni, nelle sconfitte e nelle vittorie ». Rigorosamente parlando, anche il Partito operaio, dl pari degli anarchici e dei socialisti legalitari, guardava e! comunismo anarchico come al fine migliore dell’umanità. Ma questo era un finalismo utopistico, una malattia del secolo. I fine non immediato, ma nemmeno utopistico, consisteva invece, secondo Gnocchi Viani, in una grande organizzazione economica di produzione e di scambio, in una società basata sull’economia sociale intessuta di associazioni cooperative. Un fine, come si vede, che negava alla Politica ogni diritto di cittadinanza. Se questo era (quale in effetti si rivelò) l’intrinseco finalismo del Partito operaio, non sarà sufficiente rilevare che questo partito mancava di un programma finalisticamente socialista; occorrerà pure precisare che cosa si intendesse per socialismo in Italia durante il decennio 1882-92, E di ciò si potrà trovare qualche cenno in questo volume. Per un « partito sociale » e sperimentalista come quello operaio, costantemente insoddisfatto delle soluzioni proposte dei « partiti politici », anche se socialisti, la futura società non avrebbe potuto avere altro carattere saliente se non quello proposto appunto da Gnocchi Viani. Pensare diversamente? sarebbe come dire che il partito socialista del Costa non aveva un programma finalisticamente operaista, perché era socialista. I confini fra operaismo e socialismo sono storicamente così tenui da rendere precaria ogni legittima esigenza di precisazione.
L’occasione al presente lavoro è stata offerta in maniera determinante dal ritrovamento di quasi tutto il « processo dei Socialisti in Este » in mezzo a migliaia di buste recentemente versate dal Tribunale di Padova all’Archivio di Stato?
Il prezioso « corpo di reato » di tale processo (circa 700 fra cartoline e lettere, quasi un piccolo archivio privato) è ora a completa disposizione degli studiosi che potranno ampiamente servirsene, avendo noi pubblicato in appendice solo ciò che si riferisce di nostri argomenti. Nel corso delle nostre ricerche siamo stati particolarmente favoriti dallo spirito di collaborazione dei funzionari e del Direttore dell’Archivio di Stato di Milano, Prof. Alfio Natale. A tutti porgiamo quindi doverosi e sentiti ringraziamenti. Presso l’Archivio di Milano si trovano però, sia pure in discreta quantità, i soli documenti di Gabinetto della Questura, ancora poco valorizzati nella loro interezza. Al Direttore della Biblioteca « G. G. Feltrinelli » di Milano, Prof. Giuseppe Del Bo, vadano pure î nostri sentiti ringraziamenti per averci facilitato le ricerche, soprattutto consentendo la consultazione degli archivi Casati e Gnocchi Viani.
Fra i corrispondenti di Gnocchi Viani si conservano nella « Feltrinelli » diverse lettere di Francesco Papafava che abbiamo pubblicato (solo in parte), insieme con alcune lettere di risposta forniteci dal conte Novello Papafava, al quale manifestiamo quindi la mostra riconoscenza.
Uguale riconoscenza esprimiamo alla Direttrice della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, Prof. Emma Pirani, per le cortesie usateci,
I più profondi sentimenti di gratitudine vadano infine al Prof. Gabriele De Rosa, costante ed affettuosa sorgente di incoraggiamenti e di chiarificazioni metodologiche.

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