Rensi Emilia, “Di contestazione in contestazione”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, 1971, 144 p.

Prefazione
Chi non «contesta» oggi?
Purtroppo l’estendersi delle «contestazioni» in tutti i paesi, in tutti i campi, da parte delle genti più di­verse, trasforma la protesta in «moda», e la svuota del contenuto. Procedimento reso facile dal fatto che non tutti hanno chiaro l’oggetto della «contestatone», e possono, perciò, dare l’impressione che l’agitazione sia fine a se stessa. Specialmente questo si avvera nelle «con­testazioni» dei giovanissimi, talvolta sollecitate dal de­siderio di imitare gli adulti, non di rado «strumentaliz­zate» ad insaputa degli autori, spesso dirette a scopi secondari о errati, mentre quelli essenziali (che non mancano davvero!) vengono tralasciati.
I motivi per «contestare» sono indubbiamente molti e gravi: ma se la parola «repressione» alla quale si gri­da «no», non viene accompagnata da un aggettivo che la qualifichi, perde ogni significato. Quale «repressio­ne»? Giudiziaria, culturale, domestica, poliziesca e via dicendo? E’ necessario specificare, altrimenti finirà per essere contestata anche la «contestazione». Tauto più che sulle pregiudiziali generiche è facile trovarsi d’accor­do, e i «contestati» stessi accettano molte belle frasi astratte, le fanno proprie e se ne adornano.
La «contestazione» non è certo una novità dell’e­poca nostra, è invece molto antica. Anche se non si è sempre espressa con cortei, vetri rotti, auto fracassate, manganellate, scritte murali e simili. Vi sono molti differenti modi di contestare, ma con un sistema о con un altro, l’uomo ha sempre contestato fin dai primordi della sua esistenza. Tanto che non manca chi ha voluto considerare, come caratteristica essenziale dell’umanità, lo spirito di ribellione. Non ci sentiamo di accettare questo giudizio, perchè le qualità che distinguono l’uo­mo dall’animale sono molte e complesse, e ammettendo una rigida semplificazione si rischierebbe di cadere nell’esclusivismo, di non riuscire ad esprimere l’essen­zialità dell’uomo, di incorrere, come giustamente affer­ma J. Rostand, in una specie di «.razzismo psicologico».
E’ certo però che una delle caratteristiche fondamen­tali dell’uomo è il dissenso, in nome del quale egli s’im­pegna a lottare contro il dolore, e giunge perfino a rifiutare la realtà della morte.
La contestazione umana scorre quindi come un fiume che non conosce sosta, dalle più remote origini fino al più lontano avvenire.
Non è inutile, perciò, prender contatto con alcune contestazioni, appartenenti al lontano passato о ad epoche più ideine, anche se gli autori di esse contesta­rono soltanto con gli scritti, anche se le loro contesta­zioni furono sempre rivolte, soprattutto, all’uomo inte­riore. Perciò ai moderni contestatori possono apparire vane ed inconsistenti. Eppure, senza una profonda ri­forma interiore, tutte le altre riforme politiche e so­ciali, richieste dai cittadini, sollecitate dai partiti, vo­tate dai governi, sono lettera morta, destinate a restare, come spesso avviene, «sulla carta», buone soltanto per accattivarsi il consenso degli ingenui. Osserva anche K. Jaspers (La bomba atomica e il destino dell’umanità – Milano, I960) che «la trasformazione può avvenire sol­tanto se si trasforma il modo di vita di ogni singolo uomo. Ogni minima azione, ogni parola, ogni atteggia­mento rapportato a milioni e miliardi di uomini è es­senziale.»
In ogni modo tali contestazioni, senza fracasso, so­no «rimaste», e rimangono vive anche nell’avvicendarsi dei secoli, come quelle che aprirono la via allo spirito critico, all’indipendenza dell’indagine, al libero pensiero. Questi nostri contestatori sono uomini tutti dissimili fra loro per indole, appartenenti ad epoche diversissime, agli ambienti sociali più disparati, alle culture più estranee le une alle altre. Ma a chi legga non sarà dif­ficile scorgere il filo che collega le loro proteste nel con­tenuto essenziale.
Vane proteste, perchè coloro dal cui animo esse scaturirono, furono, in un certo senso, tutti dei vinti, e per alcuni la sconfitta non fu certamente scevra di pro­fonda amarezza? Non lo crediamo. La vittoria non è necessaria; l’importante è «persistere». A nessuno è mai garantito il successo: ma non per questo l’opera di chi lotta per l’indipendenza è vana: finché la combattività contro il male non manca, al male non può arridere la vittoria definitiva. Nella «realtà», anche la rivolta della coscienza ha il suo posto.

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