Ilari Massimiliano, “La giustizia di Franco. La repressione franchista ed il movimento libertario spagnolo 1939-1951”

Edito da Centro Studi Libertari “Camillo Di Sciullo”, Chieti, Gennaio 2005, 208 p.

Introduzione
Parlare di anarchici, sia pure in prospettiva storica, e – per di più – di anarchici, come quelli di Spagna, che per un certo periodo non hanno mancato di condurre una lotta armata contro il regime di Franco, nelle attuali circostanze può essere impopolare e rischioso. Impopolare perché l’opinione pubblica viene spesso emotivamente sollecitata da attentati tentati o compiuti rivendicati con l’etichetta degli “anarchici insurrezionalisti” o ad essi attribuiti dall’apparato di polizia, e, a distanza di mesi, da provvedimenti di polizia contro più o meno numerosi presunti esecutori e loro reti organizzative. Rischioso perché – per la pessima abitudine a considerare la storia dei movimenti e dei partiti politici per l’“uso pubblico” che se ne fa – potrebbe far apparire un lavoro, come questo di Massimiliano Ilari, (serio, ben impostato e documentato, equilibrato e problematico), alla stregua di un’opera destinata alla propaganda.
Certo, quest’opera non sfugge alla regola degli studi sui movimenti e sui partiti politici, per la quale, in Italia, sono per lo più gli eredi che studiano gli antenati. Così è stato per il movimento socialista e per quello cattolico, altrettanto è stato per il movimento comunista nei primi anni della Repubblica e negli anni della crisi degli anni ’70, mentre il Partito d’Azione, i cristiano-sociali, i cattolici comunisti ed i dissidenti di “Bandiera Rossa” hanno trovato finalmente una storiografia quando alcune loro tematiche riemergevano nella sensibilità “rivoluzionaria” dei giovani nella “stagione dei movimenti”. Allo stesso modo, anche la storiografia del movimento libertario, dopo una fase nella quale era legata soprattutto ad alcune personalità di rilievo – particolarmente Pier Carlo Masini, Biagio Gino Cerrito, Enzo Santarelli – dagli anni ’70 in avanti ha visto crescere una più numerosa serie di studiosi, ormai alla seconda (o forse terza) generazione, che hanno trovato spazi autorevoli anche in campo accademico, la cui produzione più caratterizzante è oggi il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani. Si tratta, nella gran parte, di lavori e iniziative che nascono all’interno del movimento libertario e che spesso (talora per limiti di concezione e di conduzione) non riescono ad uscire da quei circuiti di diffusione e di conoscenza.
Se la damnatio memoriae spesso ha colpito e colpisce personalità, componenti correnti anche estese nella società e nella storia del paese (si pensi a quella dei cattolici democratici o dei borghesi moderati e conservatori nella storia degli esuli antifascisti o a quella dei monarchici variamente organizzati e rappresentati nella storia del primo trentennio del dopoguerra), allora non c’è da stupirsi se ai libertari (come forse è più proprio definire gli anarchici) non si sia prestata e non si continui a prestare adeguata attenzione fuori dei circoli, dei giornali e delle riviste del movimento. Ancor più estranea alla conoscenza diffusa appare la vicenda dei libertari delle province e regioni di Spagna, scontando una più generale disattenzione degli italiani e delle italiane per la storia dei paesi e delle società della penisola iberica. In Spagna ( in Portogallo) vi si recano di frequente per affari e turismo, ma delle vicende contemporanee di quelle terre e di quelle popolazioni continuano a sapere ben poco. Eppure sono italiani alcuni degli studiosi più accreditati (anche nel paese iberico) della Spagna dell’800 e del ’900 e in Italia è prodotta ed edita una autorevolissima rivista di studi come «Spagna Contemporanea». Tutto ciò spiega le ragioni per le quali trovai grande interesse alla proposta di Massimiliano Ilari di seguirne la ricerca e il lavoro che in queste pagine oggi vede la luce.
Questo lavoro di Ilari permette, quindi, per tutti, di colmare una più generale lacuna e ci presenta una realtà che potrà sorprendere molti. In primo luogo, richiama al triste destino degli esuli repubblicani di Spagna, anarchici e non solo, nella Francia della Terza Repubblica, internati spesso in centri di raccolta e poi – con l’occupazione nazista e il regime di Vichy – deportati nei lager di Hitler, dove non cessarono nella loro Resistenza a prezzo della vita. In secondo luogo, mostra un movimento libertario di Spagna, pur ridotto a qualcosa di esile e frammentato, che non cessa di essere attivo, per merito di forti e coraggiosi refrattari, e di perseguire, con pazienza e accortezza, ma non senza perdite e sacrifici, la via della ricomposizione e della ricostituzione. Come per tutti i movimenti d’opposizione clandestina, anche per i libertari di Spagna non mancano contraddizioni, errori, cedimenti, difficoltà a conciliare spontaneità ed organizzazione, azione diretta e strategia d’opposizione, attivismo e necessità di rafforzamento. Tuttavia, questo lavoro ci mostra in maniera chiara ed esauriente come, senza far mancare nulla alla serietà ed alla coerenza con le ragioni della lotta per la libertà, i comportamenti dei libertari di Spagna fossero tutt’altro che affidati allo spontaneismo, all’improvvisazione, all’intemperanza, contrariamente ai molti luoghi comuni che su di essi e intorno ad essi si sono formati e sono stati molto meccanicamente ripetuti. Anche l’impiego della violenza, quando e dove tale strada si sceglieva, non era né scontato, né compiaciuto, né privilegiato, ma solo condizionato alla congruenza ed alla necessità richiesta dai valori in campo.
Da ultimo, occorre dire delle somiglianze – non solo apparenti – con la lotta degli antifascisti italiani e, soprattutto, con la Resistenza. E qui il discorso, necessariamente, dagli anarchici di Spagna va esteso comparativamente all’intero movimento di Liberazione in Italia. Infatti, avendo essi scelto, come la Resistenza italiana, di non escludere a priori alcuna delle forme e alcuni dei mezzi di lotta contro la dittatura franchista, praticavano un’azione che operava tenendo conto dell’intera società civile e della necessità di coinvolgerla facendosi carico a più livelli dei suoi problemi. Per questo, più che con la quasi sconosciuta (o, meglio, taciuta) presenza anarchica nella Resistenza italiana (minoritaria, ma non per questo meno significativa, realizzata con formazioni proprie o in formazioni dirette da altri, soprattutto socialisti ed azionisti) gli spunti comparatistici forniscono criteri d’interpretazione storica se operati con l’intero movimento resistenziale. Accanto a quelli più specifici (e già accennati) di un movimento politico clandestino, emergono (anche se talora solo descritti: ma questo apre lo spazio per nuove ricerche) alcuni aspetti e rapporti tipici della storia e della geografia sociale dei movimenti rivoluzionari o antagonistici: città/campagna; pianura/montagna; classi popolari/piccola borghesia; religione/politica; anziani/giovani; donne/uomini; tradizione/innovazione; tempi brevi/tempi lunghi; culture dominanti (anche di opposizione)/culture subalterne (anche conservatrici).
Per tutte queste ragioni positive (delle critiche ho riferito direttamente all’autore) c’è da augurarsi che questo lavoro di Massimiliano Ilari trovi la diffusione che merita, in Italia certamente, ma anche in Spagna al di là del circuito garantito dall’editoria militante, meritoria per averlo pubblicato. Ma ad aggiungersi alle ragioni desumibili da quanto ho detto finora, ve n’è un’altra non indifferente. Con questa ricerca, infatti, si affronta il problema dell’opposizione al franchismo negli anni della costruzione del regime, che coincidono con quelli della seconda guerra mondiale (nella quale la Spagna di Franco fu neutrale ma tutt’altro che indifferente rispetto al fascismo e al nazismo) e del dopoguerra. Per la mia generazione la solidarietà con l’opposizione a Franco è stata una delle prime forme di apertura alla conoscenza della politica. Si trattasse dell’azione dimostrativa (non violenta) dei giovani che avevano rapito il console spagnolo a Milano o delle iniziative (senza successo) per salvare la vita al dirigente comunista Julian Grimau, delle dichiarazioni di solidarietà all’abate di Montserrat, messo sotto tiro dal regime per aver ospitato riunioni di sindacalisti e di oppositori politici, delle dimostrazioni di solidarietà per strappare alla morte i minatori delle Asturie che avevano organizzato uno sciopero. Ma – almeno a Roma ed a Milano – vi era anche la possibilità di incontrare direttamente alcuni esuli, soprattutto artisti ed intellettuali, quali il poeta comunista Raphael Alberti e lo storico liberale conservatore Salvador de Madariaga, ed altri meno famosi, in occasione di presentazioni di libri e inaugurazioni di mostre. Negli anni della modernizzazione della Spagna e del cambio, cioè l‘avvicendamento o seconda fase del regime di Franco, confermavano come nel paese, al di là della facciata moderna, efficientista ed accattivante costruita dall’Opus Dei, permanesse una feroce dittatura, con la repressione poliziesca e la persecuzione del dissenso sociale e politico, la tortura, la pena di morte. Se, con i nuovi programmi scolastici di storia, qualcosa sapevamo della guerra civile e dell’avvento di Franco (fu una delle domande che nel 1963 mi furono poste all’esame di maturità), ci restava un vuoto di conoscenza fino agli avvenimenti di questi giorni, per molti aspetti destinato a restare tale.
Prof. Antonio Parisella,Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Studi Storici e Sociali, Settembre 2004

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