Rensi Emilia, “Recensione come testimonianza. Dalla parte degli indifesi”

Edito da Nuova Ipazia, Ragusa, Aprile 1991, 134 p., Seconda Edizione

Emilia Rensi di Renato Chiarenza (da “Bloc-Notes”, n. 22, Dicembre 1990)
Ci pare ancora di rivederla al suo tavolo di lavoro intenta a «getta­re in carta» su una vecchia macchina da scrivere i suoi pensieri. Viveva con decorosa parsimonia (quale si conviene a una ex insegnan­te dello Stato) con una rinuncia costante a tutto il superfluo, dedita solo allo studio ed a coltivare quelle amicizie che potevano trovare in Lei una consonanza spirituale.
Dopo aver trascorso gli anni dell’infanzia a Villafranca di Verona e nel Canton Ticino, la famiglia Rensi si trasferì a Firenze, poi a Mes­sina, infine a Genova dove il padre aveva ottenuto nel 1916 la cattedra di filosofia morale e in quest’ultima città abitò ininterrottamente sino al giorno della sua scomparsa, insegnando dapprima lettere al Ginna­sio Liceo C. Colombo e poi lavorando presso la Biblioteca Universita­ria. Educatrice validissima, ebbe a crescere generazioni di studenti che ancora la ricordano con affettuosa devozione; chi ebbe poi la fortuna di conoscerla nella vita privata potè trarne un’impressione, già imme­diata, di una personalità al di fuori, del comune riservata e discreta, ma dalla forte tempra morale. Conversatrice amabile ed attenta, era piacevole intrattenersi con Emilia per discutere di filosofia o di politi­ca poiché le osservazioni apparivano sempre puntuali e vivacemente critiche. Vasta la cultura attinta alla lettura dei classici, con un rigore costante come ben dimostra la copiosa produzione degli scritti. Il pe­riodo più fecondo dell’attività letteraria non fu la prima m aturità, poi­ché gravata dalle cure domestiche e dalle pressanti incombenze didat­tiche; la Rensi dovette attendere l’età della pensione per dedicarsi al­lo scrivere pubblicando con ritmo incalzante libri opuscoli e articoli vari: in complesso una dozzina di volumi. Proprio quando altri in ge­nere si ritirano nell’oziosa quiete della vecchiaia Emilia ebbe ad inizia­re la sua maggiore e incessante fatica offrendoci degli scritti preziosi che recano una nota costante di saggezza e di rifiuto ad ogni comodo conformismo.
Già i titoli delle opere sono significativi Chiose lai­che — L ‘azzardo della riflessione — Di contestazione in contestazione ed inquadrano gli interessi e la visione esi­stenziale dell’Autrice. Angoscia di vivere, prima opera pubblicata nel 1964 è una raccolta di pensieri, un diario spirituale dalle pa­gine amare intrise di un pessimismo inconsolabile, quasi ideale prosecuzione del pensiero paterno trapassato an­che nello stile sempre perspicuo senza vani orpelli che va diretto allo scopo con trasparente chiarezza. A que­sto primo libro potrebbero ricongiungersi le Testimo­nianze inattuali, scritto pubblicato nel 1987 che completa con ulteriore ed approfondito sviluppo il sofferto cam­mino spirituale iniziato con Angoscia di vivere. La spiccata propensione alla ricerca storica consen­te alla Rensi di racchiudere con felice sintesi i vari pro­blemi che affronta dandoci interpretazioni acute ed originali. Vi è un atteggiamento di rigorosa analisi dei fatti che portano a conclusioni spesso di vivace anti­-conformismo, ma sempre il discorso è sorretto da un processo coerente e consequenziale: non vi sono forza­ture poiché la scrittura procede diritta allo scopo con lineare acribia ed esattezza.
Anche dalla semplice citazione di qualche passo di Angoscia di vivere si può scorgere la immedicabile ama­rezza dell’Autrice: «ma vi è un dramma ancora più gra­ve di tutte le sventure che ci toccano in sorte: il “vuoto” il quale supera il soffrire l’abisso di qualsivoglia dolo­re. E il soffrire nel vuoto che ci attanaglia di angoscia e di paura» (pag. 24) «… il peccato, la morte sono il prez­zo dell’organismo superiore, delle manifestazioni spi­rituali (…) non è dunque la carne la causa di ogni nostra sventura, bensì lo spirito: per giungere ad una espres­sione superiore di vita era necessario che l’Essere si ras­segnasse al peccato e alla morte» (pag. 98).
A sfondo autobiografico il volumetto II riscatto del­la persona umana, stampato nel 1976, risulta un atto di accusa contro quel sistema educativo ancora ottocen­tesco che soffocava ogni aspirazione di autonoma scel­ta dei figli da parte dei genitori e di cui la Rensi ebbe a soffrire, non già per malvolere del padre o della ma­dre, ma per un errato modo di intendere il compito edu­cativo della famiglia. E la forza della tradizione, un certo conformismo che viene accettato, almeno per quanto concerne l’istituzione familiare, anche da spiriti liberi che si oppongono a non poche superstizioni religiose e politiche, ma che poi non sanno essere coerenti con le opinioni professate pubblicamente e superare certe «chiusure».
«I genitori per essere soddisfatti dovrebbero avere dei figli non di carne ed ossa ma di cera» e conclude l’autrice con disperato accento «eppure (Emilia) non po­teva fare a meno di domandarsi quali diritti potevano vantare i genitori responsabili di avere data ai figli la sciagura della vita» (pag. 89).
Riecheggia in questa terribile accusa il pensiero di Eraclito «nascere e vivere è un correre alla morte: dar vita ai figli è avviarli alla morte». Il pessimismo pater­no traspare nelle pagine di Emilia come una terrifican­te visione della realtà: non vi sono in questa scrittura ambiguità, sfumature che lasciano campo ad interpre­tazioni (più o meno interessate) di un possibile richia­mo al trascendente, una sorta di deismo, anche tenue, sulla scia dell’illuminismo settecentesco; nulla di tutto ciò le affermazioni sono nette, precise, chiare, stringenti: il mondo è il regno del male, del dolore.
Nell’introduzione agli Atei dell’alba denuncia il ten­tativo di far rientrare con mille artifici verbali nella schiera dei credenti anche gli atei veri e propri, in quanto il loro numero e talvolta la fama acquistata potrebbero favorire la diffusione delle loro convinzioni «e anco­ra… perfino studiosi laici non riescono a superare il pre­giudizio ancestrale del biasimo congiunto alla parola ateo e perciò vorrebbero salvaguardare da simile riprovazione il maggior numero possibile di pensatori». L’autrice che ebbe a professarsi erasmiana coglie nel­le vicende storiche le stridenti note del conformismo ufficiale e scorge con sottile ironia al fondo di questa realtà così assurda la follia umana inguaribilmente rinnovantesi: di qui il suo dichiarato laicismo e l’adesione al libero pensiero.
Se in tante pagine amare dettate da uno sconforto esistenziale non sembra potersi scorgere alcuna luce sui mali del mondo; se quel rovello spirituale sembra farle pronunciare il cupio dissolvi, vi è però nella Rensi, quasi improvvisa intuizione, un momento di riscatto dell’uo­mo, della stessa vita: ed è nell’amicizia che cerca e tro­va questo arcano conforto.
Il credo della Rensi è nella chiusa del volumetto de­dicato a Ipazia, la prima martire del libero pensiero: «L’esistenza è sempre troppo complessa bisogna dare ai nostri principi il complemento di una fede. E la sola fede che sia nello stesso tempo concreta e suscettibile di abbracciare tutte le cose è la fede nella vita, nella sua abbondanza e nel suo progresso. La mia fede ultima è nella vita» (pag. 48).
E con questo riscatto dal dolore, dal male, ha volu­to suggellare la sua vita esamplare, donando con gesto altruistico i suoi beni ai diseredati e il suo corpo all’Istituto di anatomia umana a scopo di studio. Il suo te­stamento spirituale riafferma i valori in cui ha creduto: laicismo e libero pensiero.

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