Bonanno Alfredo Maria, “Anarchismo insurrezionalista”

Edito da Edizioni Anarchismo, Trieste, 2019, 192 p., Terza Pagina

Introduzione alla seconda edizione
Dietro ogni aspetto della teoria anarchica insurrezionalista si nasconde un progetto, non dico un quadro asfittico completo in tutte le sue parti, ma un progetto sufficientemente individuabile, ben al di là di queste pagine e delle tante altre che nella mia vita ho scritto su questo tormentato argomento. Se non si tiene conto di ciò nessun chiarimento analitico potrà fare molto, anzi correrà il rischio di restare quello che è, un insieme di parole che pretendono contrastare la realtà, pretesa incongruamente idealista. Le piante grasse della filosofia classica tedesca, con i loro allettanti pungiglioni, hanno fatto tutto il danno possibile, spero che non costituiscano ancora più oltre specchietti per ingenue allodole rivoluzionarie.
Ciò non vuol dire che il problema del metodo possa essere affrontato di punto in bianco senza tenere conto di quanto è stato detto in tutte le salse, anche dalla stessa filosofia classica tedesca, sarebbe una ingenuità. In questa prospettiva non ci sono scorciatoie né ricette privilegiate, solo il duro lavoro rivoluzionario, lo studio e l’azione. Le scivolate che ho visto fare in questi ultimi anni a tanti distruttori più o meno canuti mi confortano in questa mia rigidità d’intenti. Sarebbe inutile pensare la propria radicalità estrema quando poi ci si limita a nascondere la mano senza neanche gettare il sasso. Non è una corsa all’immagine più significativa, allo specchio magico che riempie di colori smaglianti e inghirlanda preziosamente quattro pensieri domenicali da bacetti Perugina.
Questo libretto illustra un metodo, quello anarchico e insurrezionale, ma è di un’esperienza che esso parla, non di teorie che più o meno possono entrare in contrasto tra loro o anche andare d’accordo. Una esperienza che continua nel tempo e che si è andata sedimentando per così dire sul campo, nell’azione concreta, prendendo la sua forma ed espressione letteraria quasi per caso, in articoli, relazioni, volantini, o altro, sporadicamente affidati alle necessità del momento. Invece di vedere in questo un elemento di dissociazione, vi vedo, vi ho sempre visto, un movimento particolare, un incontro caratteristico tra idee ed azioni, in modo che dalle seconde si trovi luce particolare per le prime, e viceversa, senza soluzione di continuità.
Molti, ministro dell’Interno in giù, fino all’ultimo appassionato di fanfaluche, vi hanno visto un miscuglio indigesto di vigorosa maturità di pensiero e di fantasia sciocca e puerile. Che me ne importa? Ho sufficiente spessore della pelle per rendermi conto che le nerbate fanno parimenti male quando vengono dalla critica occhiuta del carabiniere che sogna di farmi assegnare quanto più possibile anni di carcere e quando vengono camuffate e direi quasi imbastite nelle lodi di un imbecille o nei ragli letterari di un asino.
Ogni metodo si basa sulla realtà, in caso contrario non è un metodo, né mai potrà dare vita a un progetto, è solo un movimento di gambe nervose e infaticabili, una passeggiata nel bosco delle favole, uno sciogliere enigmi della sfinge, un risolvere problemi di geometria descrittiva difficili solo per i fanciulli. La vita è un insegnamento troppo feroce per accettare, sia pure come compagni di viaggio, vertiginosi parassiti che si dilettano parlando delle loro impressioni e dei loro desideri di libertà. Parola pesante questa, molto pesante.
Nel volere essere liberi c’è una mostruosa tentazione, occorrerebbe squarciarsi il petto. Di già la stessa parola libertà è uno scandalo, che la si riesca a dire senza arrossire è uno scandalo. Che io insista a dire questa parola senza far fronte alle conseguenze che l’essenza stessa di quello che questa parola sottintende e mi pone di fronte è altrettanto scandaloso. La libertà, in fondo, non può essere detta, quindi questa parola, libertà, è ingannatrice, e mi inganna nel momento che la pronuncio. Eppure è detta, ma occorre un’aggiunta fondamentale, mettere a rischio me stesso. Quest’aggiunta dona nuovo significato alla parola, la sconvolge e la mette a nudo criticamente, taglia i tanti ponti significativi con una insistente chiacchiera alimentata da perdigiorno in vena di stramberie e la scarnifica portando alla superficie la possibilità di una realizzazione. Concretizzare a ogni costo la libertà.
C’è un meccanismo in questa fase interrogativa che è ancora perseguibile nei suoi dettagli, la parola risuona ancora nel gesto critico che scava dentro il di già detto, ma non è soltanto questo. Il senso profondo di questa parola sta proprio nel permettere un’apertura al proprio mettersi in gioco, faccia a faccia con la verità di se stessi, senza che niente possa essere inteso come schermo e riparo dietro cui attutire i colpi. Il meccanismo di cui parlo, il metodo rivoluzionario, non può essere diretto a rassicurare sui risultati, nel qual caso sarebbe una vera e propria critica positiva filosoficamente orientata a conservare più che a distruggere, ma è diretto a inquietare ulteriormente, a lacerare per l’ultima volta, prima del coinvolgimento, a mettere a disposizione non solo mia ma di tutti una possibile conclusione offerta proprio dall’applicazione del metodo e dall’assunzione delle responsabilità rivoluzionarie.
La straordinaria condizione nuova che riesco così a intravedere è il metodo insurrezionale, un abisso senza fine di cui le poche tracce indicative che spaccio per di già accaduto sono solo una remota e pallida immagine.
La distanza tra il pensiero e l’azione può, a volte, raccorciarsi di molto, e allora è il momento buono per colpire.
Trieste, 20 ottobre 2007
Alfredo M. Bonanno

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Note dell’Archivio
-Prima Edizione: Catania, Giugno 1999
-Seconda Edizione: Trieste, Settembre 2009

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