Bonanno Alfredo Maria, “La bestia inafferabile”

Edito da Edizioni Anarchismo, Trieste, 2009, 128 p., Seconda Edizione

Introduzione alla seconda edizione
C’è un legame tra quello che posso fare e quello che sogno di fare. Tra accontentarmi del mondo così com’è e cercare di mandarlo a soqquadro. Questo legame da un lato tocca l’eternità della vita nel suo svolgersi inattingibile, forse incomprensibile, dall’altro i contrafforti di una modestia che non ha avuto in sorte che alcune possibilità di difendersi.
Imprecare alla propria incapacità non vale, i mezzi per lottare non li regala nessuno all’angolo delle strade. Occorre staccarli dalle pareti del tempio, affrontare il corruccio degli dèi pensierosi della propria sorte, e l’avida tenacia dei manutengoli addetti alla custodia.
Fior di denti aguzzi e di mascelle spalancate sono fuggiti via al primo rumore di una scacciacani. Bisogna inerpicarsi per via scoscese, per difficili sentieri non riconoscibili sulle carte del condominio governativo, incontrare il pericolo faccia a faccia nell’aria rarefatta delle altezze, dove non è possibile giocare sugli equivoci, mentre altrove un abitacolo pieno di fumo può mettere a nudo l’animella spaurita di una mangiatrice d’uomini. Non è il simbolo della montagna che mi interessa, e neanche quello della radura da cercare nell’impenetrabile foresta, il cuore dell’uomo nasconde oscure possibilità ancora da scoprire e semenze imprevedibili da cui far venire alla luce frutti che la rivolta finora non ha avuto modo di vedere. Ma questo impressionabile muscolo per ora batte timido nei recessi della propria allocazione. È un gigante che si immagina di scalare il cielo e non ha fatto i conti con i propri piedi d’argilla. Perché questa debolezza? Non si tratta di un fatto muscolare né di mezzi a disposizione. Non è certo la potenza di fuoco quella che distingue la bestia inafferrabile dall’animella spaurita che continua a raccontarsi le solite storie di fantasmi del passato per avere modo, la sera, di chiudere gli occhi e trovare il sonno riparatore di tante fatiche.
La protesi, quando c’è, ha sempre bisogno di una realtà concreta su cui innestarsi. Ho visto distruttori armati di tutto punto decidersi per la resa e ho visto al lavoro la bestia inafferrabile. Due universi differenti. Sono tanti i fili che ci tengono legati, fili che la coscienza alleva e sottopone a periodiche manutenzioni, fili di perbenismo e di sacralità, fili talmente tenaci che non possono essere neanche scalfiti dalle parole, anzi più queste parole sono esaltate ed esaltanti, più quei fili che rendono mummificata la coscienza, si rafforzano e così frenano qualunque stimolo alla rivolta. Se non si spezzano prima questi fili, ed è lavoro del singolo che deve crescere insieme ai suoi compagni in uno sforzo affine verso l’azione, ruggire è solo un gargarismo linguistico.
Rompendo quei fili non ci sono più né proporzioni né misure, tutto viene di colpo oltrepassato. L’architettura difensiva del nemico è parimenti forte e, forse, insuperabile, ma le sue strutture non sono più un ostacolo per la bestia che si slancia contro di loro. Non cadono, a volte, restano in piedi e a cadere è proprio l’animale dai forti e invincibili denti aguzzi, e che vuol dire? Forse per questo mille altre bestie altrettanto inafferrabili non si rialzeranno dal loro oblio lanciandosi all’attacco di quell’architettura senza fare calcoli di centimetri o di grammi?
Il nemico, a ben considerare le cose, è inaccessibile con i mezzi ordinari di attacco. Quando non stronca subito la vita della bestia inafferrabile, le taglia le unghie e i denti, l’addomestica, gli offre un pasto e uno stipendio a fine mese, oppure, molto più banalmente, gli dà la possibilità di ruggire, di ruggire quanto e come vuole (è stato abolito l’art. 272 del codice penale italiano). Il muro che così alza il potere intelligente è più alto e più forte di qualsiasi gabbia dello zoo.
La riflessione può essere tessuta di leggerezza e trasparenza, ma resta sempre struttura preventiva dell’azione, anche nelle persone migliori non manca di mettere in luce la malinconia che tutto pervade il mondo dell’attesa, del rinvio, del prepararsi in vista di essere forti abbastanza per fare qualcosa. Alla tristezza della ineluttabile inadempienza a volte si sopperisce con la ricerca di una inadempienza ancora più grande, quello che non può essere concluso, messo in atto adesso e subito, tanto vale che venga lasciato aperto, possibile ma aperto alla discussione e all’imbroglio reciproco, nella migliore buonafede. In questo modo il lavoro preparatorio si avvita come un serpente che vuole ingoiare la propria coda. Non posso di certo cadere nel tranello del tanto peggio tanto meglio, non posso nemmeno non vedere la sproporzione di forze. Sono una persona seria, io.
Eppure i segni del dolore sono qui, davanti a me, non il dolore degli altri, ma il mio, il mio personale portarmi dietro la carne incisa e le ossa martoriate. Posso squadernare questo dolore nella sua laida pienezza e posso coprirlo con le bende della pudicizia. Solo la bestia inafferrabile, nella sua barbarie inassimilabile da parte degli inebetiti bamboccioni che giocano a fare i terribili, sa radicalizzare il proprio rifiuto dell’addomesticamento senza stare molto ad approfondire i limiti reali non solo del ruggire ma anche dell’agire, dell’affondare la propria zampata singola, sia pure, e micidiale.
Il colpo che viene inferto senza indugi e senza imbarazzi, in se stesso senza bisogno di giustificazioni, la presa alla gola spersonalizzata e oggettiva, orgogliosa di dire sì anche davanti alla coscienza dei propri limiti e delle proprie debolezze, caratterizza la bestia inafferrabile.
La visione intuitiva dell’azione dovrebbe essere alleggerita da tutti i ricordi e dalle abitudini che affollano la riflessione preventiva. Occorrerebbe parlarne con sobrietà e senza quella enfasi che ricade inevitabilmente nella ripetizione e nel tornare a riprendere ciò che si è detto di già. Un ruggito è più che sufficiente, due rischiano di diventare una chiacchierata. Ogni volta bisognerebbe essere pronti alla partenza per andare oltre, per uscire fuori dal porto delle attese dove il battello è ormai stanco di dondolarsi nelle medesime acque. Non si verifica, questa partenza, perché il nemico ha dato un segno di debolezza, ma solo perché deve accadere, perché è impossibile che non accada. Può anche essere un istante privo di seguito, un balenio della zampa, può essere invece l’istante a cui seguirà quello in cui è consentito di assistere all’attacco inferto, alla rabbia finalmente esplosa, all’azione.
Per questo la bestia è inafferrabile. Con buona pace degli attendisti e degli aspiranti conquistatori.
Trieste, 19 ottobre 2007
Alfredo M. Bonanno

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Nota dell’Archivio
-Prima edizione: Catania, 1999

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