Bonanno Alfredo Maria, “Come un ladro nella notte”

Edito da Edizioni Anarchismo, Trieste, Settembre 2009, 108 p., Seconda Edizione

Introduzione alla seconda edizione
Questi ultimi dieci anni, la metà dei quali passati in carcere, non mi hanno fatto risolvere la contraddizione alla quale accenno in questo libro.
Anarchia e libertà sono sinonimi? A quel che vedo in giro, tranne una sparuta schiera di esseri lunari, non ci sono altro che imbroglioni e mestatori. E che vuol dire? Niente, l’anarchia e gli anarchici sono due cose del tutto differenti. Della prima ci si può innamorare a vita, dei secondi quasi mai l’amore dura a lungo, escluso quei pochissimi, per i quali l’affinità e la sintonia di affetti va al di là di qualsiasi contingenza.
La diversità che colgo tra il dire e l’agire è nella libertà di quest’ultimo, quindi anche nella libertà della volontà di agire. Il volere essere liberi non è però uguale ad essere liberi, il libero non vuole essere libero, semplicemente lo è. Non opera una selezione negandosi tutto quello che lo vincola, catene in primo luogo. Sono uscito da poco dal carcere e devo quasi certamente tornarci ancora per un residuo pena di un anno e qualche mese, potevo non essere mai entrato in galera, fin dal lontano ottobre del 1972, quando per la prima volta feci questa esperienza, bastava che continuassi a fare il dirigente industriale. Se ho gettato alle ortiche il mio status di sicurezza non l’ho fatto per finire in prigione, ma per fare più facilmente dei passi verso la libertà. Né l’andare in prigione ora né quei passi ormai lontani sono la libertà. Fino a quando dovessero restare solo un volere la libertà sarebbero conati e forme sofisticate di controllo.
La libertà, e quindi l’anarchia, si coglie ma non si possiede, è la qualità somma che perdo proprio nel momento in cui mi chiedo se posso conservarla garantendola contro le pretese dell’altro. Il dono comanda la qualità gratuitamente, il donarsi è aprirsi senza chiedere nulla in cambio. Senza questo dono non si arriverebbe mai alla qualità, ma si resterebbe sempre nell’ambito dell’impenetrabilità del fare.
L’azione che non mi coinvolge, che non mi cambia la vita mettendomi a repentaglio, è un semplice fare, una routine che rischia di infettare perfino la mia stessa quotidianità.
Vorrei, e lo sto facendo, scrivere tutto questo per gli altri, per me questo è un male necessario al quale cerco in ogni modo di sfuggire. Quando trovo un lettore ho un tuffo al cuore e mi chiedo se finalmente è arrivato chi riuscirà a leggere quello che anche io, solo io, riesco a intravedere a malapena in quello che scrivo. Considerare poi la fortuna di un libro è qualcosa di puerile. Basta pensare, per quel che mi riguarda, a La gioia armata. Spesso molti leggono un libro senza vederlo, quasi per sentito dire. Scrivere è una malattia dura a guarire, leggere senza capire è una malattia dello stesso genere. Non si è trovato ancora il modo di curarle, si possono solo cronicizzare.
Conosco molti stupidi che non potendo fare altrimenti si immaginano di vivere dei grandi eventi o di affrontare dei grandi problemi. Gli stupidi sanno sempre quello che fanno. Sono quasi in balia dei loro mali e ascoltano gli altri sperando di dare la stoccata buona.
La libertà, e quindi anche l’anarchia, non va raccontata, è una condizione cieca, non si lascia mettere per iscritto. La volontà l’azzera solo apparentemente, per meglio controllarla, ma non può mai cancellarla del tutto. Perfino nei peggiori, nei mestatori e nei venduti, si trasforma in falsa coscienza e morde senza pietà. La volontà campa a credito della libertà. Ora la vede come un nemico da affrontare, realizzandolo nel proprio ridurlo all’impotenza, ora come un’amante vogliosa da soddisfare. Il dolore che porta con sé non si distingue facilmente dal piacere.
L’anarchia è il massimo livello della libertà, riconoscere questo itinerario, scoprirlo, seguirlo, sono esercizi massacranti e richiedono una certa tendenza omicida. L’anarchico non sogna distruzioni, distrugge. I poveri illusi, che di solito considero stupidi, cercano a tutti i costi di darsi un atteggiamento da distruttori. Solo pochissimi non lo fanno. Alla lunga ottime persone ricavano da questa maschera una specie di automatismo, un gioco malvagio da cui non riescono più a venire fuori. Nei loro confronti è superfluo dire di no.
L’anarchia, e quindi anche la libertà, non può essere cercata come comunione conchiusa, perfetto completamento di quello che palesemente mi manca nella vita. L’apertura all’azione non lascia intendere questa aspettativa, che sarebbe una forma di reductio ad unum. Lo sforzo dell’azione è diretto, nella migliore ipotesi, a una delusione, alla constatazione di una sconfitta, ma questo fine è per pochi, sono difatti pochi quelli che non si fanno travolgere dal trionfo decretato loro dagli stupidi a tale scopo assoldati. Andando oltre è la regola che viene spezzata, tutto quello che è stato fatto andava bene, tanto bene da risultare degno di essere messo da parte, considerato materiale di riflessione non di possesso. Il cammino procede, lo strumento che si pensava conclusivo è invece un biglietto di passaggio verso qualcosa d’altro che la libertà mette in gioco nella molteplice veste delle possibilità.
Intenzionarsi verso l’anarchia ha una motivazione tremenda, una specie di mandato nuovo. Niente di ciò che appartiene all’accomodamento, alla progressione e alla contrattazione migliorativa può direttamente relazionarsi con l’anarchia, salvo che non si tratti di immagini e rappresentazioni simboliche. Un rifiuto del mondo è lo stesso impossibile, una parte del mondo è richiesta in maniera assoluta, me stesso. In genere mi costruisco un modello ed è questo modello che propongo nel relazionarmi con l’azione e con i miei compagni, ma me stesso è sempre al sicuro dietro il modello, non viene mai allo scoperto. Se l’anarchia mi chiama non posso ascoltare la sua voce perché le convenienze del mondo me lo impediscono, i miei stessi modelli in primo luogo, la vita è imitazione e immagine, non è me stesso messo in gioco. L’anarchia esige pienezza assoluta che non posso portare dietro non possedendola. La follia soltanto intuisce una possibile rapportazione, un dono che non può essere distrutto perché oltre ogni possibilità di misura. Non potenza che si realizza, ma realizzazione inimmaginabile che non potevo presupporre né programmare. È questa la sola possibile compresenza tra l’anarchia e il mondo che parcellizza e produce continuamente la vita, con tutte le limitazioni alle quali ogni giorno ci costringe a far fronte.
Trieste, 22 ottobre 2007
Alfredo M. Bonanno

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Nota dell’Archivio
-Prima edizione: Catania, Gennaio 1999

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